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Cosa Sono le Radio Comunitarie?

Secondo la definizione della legge Mammì (n.223/1990) le “radio comunitarie” sono caratterizzate dall’assenza di scopo di lucro, gestite da “fondazioni, associazioni riconosciute e non riconosciute, che siano espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose, nonché società cooperative… che abbiano per oggetto sociale la realizzazione di un servizio di radiodiffusione sonora a carattere culturale, etnico, politico e religioso”.

La legge ha stabilito anche un limite alle trasmissioni di pubblicità pari al 5% orario e l’obbligo di trasmettere programmi autoprodotti che facciano riferimento alle istanze proprie dell’emittente per almeno il 50% dell’immissione giornaliera fra le 7,00 e le 21,00.

Attualmente la radiofonia comunitaria in Italia è rappresentata da una grande maggioranza di radio cattoliche, una quota limitata di radio confessionali di altre Chiese (cristiana evangelica, avventista, valdese, metodista, spesso associate e consorziate) e da un numero stretto di emittenti di informazione.

L’offerta radiofonica è importante in una realtà come la nostra “nazionale” molto frammentata, tra l’altro è stata anche sentita l’esigenza di omologare la differenziazione delle diversità, quindi fondamentale diventa la ricerca di un dialogo fra le diverse culture per il conseguimento del giusto equilibrio tra le esigenze sentite di integrazione sociale e quelle di mantenimento delle singole identità sociali, religiose e culturali.

In Italia, la radio comunitaria è lontana dalla ricchezza di modelli e di tipologie che la caratterizza in tanti altri paesi del mondo e tre sono gli aspetti che la caratterizzano: il volontariato come risorsa per la gestione e la produzione; l’autofinanziamento come mezzo primario o esclusivo di sostentamento; il coinvolgimento degli ascoltatori sia in onda che fuori onda.

Le forme in cui si delineano le caratteristiche specifiche variano a seconda dei casi, anche all’interno della stessa tipologia di radio: ad esempio, alcune radio hanno una struttura redazionale fissa e retribuita, altre escludono qualsiasi forma di collaborazione; le radio cattoliche sono spesso finanziate da organizzazioni della Chiesa o da donazioni di individui o associazioni, mentre fra le radio di informazione si delinea la forma della sottoscrizione occasionale associata all’abbonamento annuale.

Anche l’impostazione editoriale può assumere le forme più diverse. Questa tipologia di radio in molti casi, a causa della bassa potenza dei suoi trasmettitori, serve le comunità più emarginate, per questo sono considerate come più vicine alla popolazione rispetto alle radio commerciali o nazionali, e quindi sono più adatte a rispondere alle necessità di aree più ristrette.

La radio comunitaria presenta qualcosa di più di un semplice diritto di espressione: è una realtà mediatica più partecipativa, grazie alla presenza massiccia di volontari che provengono dalla stessa comunità di radioascoltatori .Può essere considerata, quindi, un media alternativo ed espressione di una voce ‘altra’, per le comunità che non hanno le possibilità di avere “strumenti” più capillari ed efficienti, garantendo un reale senso di pluralismo comunicativo.

Le stazioni radiofoniche comunitarie si sono moltiplicate negli ultimi 50 anni. E’ possibile trovare stazioni radio comunitarie nel mondo che sono state installate con supporto di ONG locali o internazionali, mentre è meno facile vedere radio finanziate dai governi locali. L’obiettivo della radio comunitaria è di creare sviluppo coinvolgendo le Comunità interne non solo nelle attività di programmazione ma anche nella gestione. La logica che ne sta alla base tende a inquadrare questo “medium” come la voce dei senza voce e garante degli ultimi; la sua vocazione diventa quella di ideare programmazioni come risposta ai bisogni più immediati dei suoi potenziali radioascoltatori.

In questi anni si è trasformata in un mezzo in cui la gente comune può riconoscersi ed identificarsi. La modalità partecipativa contribuisce al consolidamento del potere decisionale in mano al popolo, consolidando la capacità delle comunità di confrontarsi e interagire. Nelle Comunità che sono state emarginate, represse o trascurate, la comunicazione partecipativa permette di rafforzare il tessuto sociale con il supporto delle forme locali dell’organizzazione e garantisce la Protezione della tradizione ed dei valori culturali e ne facilita l’integrazione attiva.

Le principali funzioni di una radio comunitaria sono: l’Informazione, l’educazione(promozione di politiche di sviluppo e di uguaglianza all’interno delle Comunità), il sostegno alla democratizzazione( promozione della libertà d’espressione e d’opinione, della pace e dello sviluppo della democrazia). In Italia una serie di radio comunitarie di informazione aderiscono al Network Popolare. Si tratta di un circuito lanciato all’inizio degli anni ’90 da Radio Popolare di Milano con l’intento di realizzare un polo informativo che rinforzi e assembli le radio locali di area politico-culturale vicine.

Radio Popolare indica informazione libera e comunicazione indipendente nel senso di autonomia da entità editoriali e politiche, un medium impegnato a dare voce a un progetto incanalabile nella cultura della radio comunitaria che, tuttavia cerca anche di premere sui meccanismi del mercato: Radio Popolare, infatti ha una concessione commerciale.

Altro “caso italiano” recente è la creazione di Radio Gap (Global Audio Projet), un pool di radio e agenzie di informazione antagonista l’Espressione culturale (promozione e protezione delle culture locali e costituitasi nel 2001 in occasione del G8 di Genova con l’obiettivo di realizzare una cultura informativa alternativa.

Le radio comunitarie, migliaia di migliaia, sparse nel mondo, alternative e non commerciali, permettono di rendere reale un vero “diritto alla comunicazione non standardizzata e imperante”, facendo emergere il concreto ruolo che la radio in quanto tale ha sempre avuto di realtà intima, amica e familiare.

Articolo a cura di Nicoletta Zampano

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