Radio – Tv: che strana relazione

Che i figli possano superare i genitori, forti dell’esperienza ereditata, è una vecchia storia!
La tv, figlia della radio, da sempre leonessa tra i mass media – per l’imponenza delle immagini – con l’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione di massa impara a ridimensionarsi e allinearsi a nuove logiche di mercato: la condivisione, la bidirezionalità comunicativa.
Così, qualcosa cambia nella fruizione collettiva del mezzo. La tv perde quella centralità comunicativa acquisita nel tempo, perde l’onnipotenza che gli è appartenuta in passato.
I nativi digitali, infatti, percepiscono il mezzo come subordinato alla rete. Il momento di massimo splendore del mezzo televisivo arriva dopo la fine della seconda guerra mondiale, la televisione si impone senza precedenti; dal 1946 negli Usa, successivamente nel resto del mondo.
In Italia, alla fine degli anni ’50 erano in tanti ad avere un teleschermo in casa, era il fulcro del focolare domestico, la scusante per stare insieme. Ma a far grande il medium delle immagini sono i personaggi che ci lavorano, molti dei quali arrivano dal medium del suono.
Tra gli esempi più importanti c’è Mina – diventata negli anni ’60 brava animatrice radiofonica; Renzo Arbore, entrato in RAI dopo un concorso pubblico all’età di ventisette anni; Mike Bongiorno; Gianni Boncompagni; Gerry Scotti; Amadeus; Fiorello; Raffaella Carrà.
Negli ultimi anni invece assistiamo al processo inverso. La radio acquisisce personaggi televisivi dimenticando talenti naturali, giovani voci, promesse future: o non ci sono più talenti, o non è importante far radio – quindi imparare a parlare – per garantirsi una carriera di qualità nei mass media. Il dubbio rimane.
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Articolo a cura di Annalisa Colavito